Genitorialità: è utile dare regole senza spiegarle?

La Genitorialità è l’insieme dei compiti che permette al genitore di fornire degli strumenti di orientamento, attraverso cui il minore avrà la capacità di affrontare autonomamente le situazioni della vita, compiere delle scelte ed essere “Sé stesso”.

Secondo Erikson diventare genitori significa passare da una condizione di “oggetto di cura” a “caregiver”. Rutter definisce  la Genitorialità come un compito che richiede sensibilità ai bisogni del figlio, comunicazione sociale, espressività emotiva e controllo. La responsabilità dei genitori consiste quindi sia nel trasmettere vicinanza, affetto e speranza, ma anche nel comunicare il senso della giustizia e della legge. Tutto ciò con l’obiettivo di far maturare il minore dal punto di vista fisico, sociale, emotivo, affettivo e comportamentale.

Ovviamente non si tratta di un compito facile, tanto che lo stesso Freud l’ha considerato come uno dei mestieri più impossibili, insieme all’insegnante, il governatore e lo psicanalista. Il genitore si trova infatti a dover affrontare varie difficoltà, come quella di riuscire a “dosare” i propri atteggiamenti, per non essere troppo presente, rigido ed intrusivo, ma neanche troppo assente, distante e poco curante delle regole.

Nonostante trovare il giusto equilibrio tra il “troppo” e il “troppo poco” appaia molto difficile, la Psicologia ha ben presenti quali siano le funzioni genitoriali, e conoscerle può aiutare il genitore ad accompagnare i figli nella crescita.

Tra queste funzioni, una di quelle su cui spesso si ha difficoltà è la funzione regolativa, cioè a capacità di fornire al bambino delle regole, le quali rappresentano uno strumento attraverso cui imparare a mettere in pratica le sue capacità preesistenti di autoregolazione emotiva (regolazione dei propri stati interni) e di relazione interattiva (la relazione con gli altri). Anche in questo caso però, le regole non devono essere eccessivamente rigide, né troppo permissive e devono essere imposte al momento giusto.

Nonostante l’importanza di tale funzione, che infatti favorisce l’abilità di mentalizzazione, essa da sola non basta, ma deve essere accompagnata da un’altra importante funzione: quella normativa. Si tratta della capacità spiegare al figlio il perché è necessario seguire determinate regole e non altre, in modo che egli possa capirne il senso e interiorizzarle come parte di sé. Ciò permetterà al bambino di avere dei punti di riferimento e di crescere in un mondo ordinato in cui poter convivere e relazionarsi con gli altri con rispetto e umanità.

Di conseguenza, se ad esempio si vuole ordinare al bambino di non tirare calci o non insultare i compagni, un semplice “non si fa” tende a far percepire tale regola come un dogma imposto da un noioso adulto; mentre avrebbe un altro effetto dire “tu cosa proveresti se lui lo facesse a te?”. Spiegare al bambino che anche gli altri hanno i suoi stessi bisogni ed emozioni, aiutarlo a mettersi nei panni altrui, permetterà lui di interiorizzare queste regole come parte di sé, rispettare e amare il resto del mondo.

Con questo articolo non si vuole sminuire la complessità della Genitorialità, ne privare quest’ultima della sua soggettività, poiché la relazione tra genitore e figlio, così come qualsiasi altra forma di relazione, è unica e irripetibile. Si vuole invece stimolare i genitori a riflettere e rassicurarli sul fatto che esistono delle “regole alla Genitorialità” approvate scientificamente: spetterà poi a loro il duro compito di applicarle sul proprio figlio, unico tra tanti.

 

Emilia Biviano

Sitografia e Bibliografia

http://www.genitorialita.it/documenti/le-funzioni-della-genitorialita/
www.isfo.it/files/File/2012/Giglio12.pdf
Ordine degli psicologi dell’Emilia Romagna (2009), Buone pratiche per la valutazione della genitorialità: raccomandazione per gli psicologi. Pendragon, Bologna.

L’approccio sistemico-relazionale alla famiglia

Con il termine SISTEMA si intende un complesso di elementi connessi l’un l’altro da reciproche relazioni. Questi elementi, pur mantenendo ognuno una propria individualità, nel loro insieme danno vita a un tutt’uno con proprietà nuove e diverse.
La famiglia è paragonabile a un sistema le cui parti sono i diversi suoi membri che tramite le loro azioni contribuiscono a determinarne il suo sviluppo come entità dotata di caratteristiche e norme proprie. L’azione di ogni componente esercita un’influenza sugli altri e sull’intero sistema famigliare, che modifica i suoi equilibri e ne esce trasformato, ma questo cambiamento, a sua volta, ha un effetto trasformativo anche su ogni singolo individuo. Ecco perché nella terapia sistemico-relazionale il disagio della persona viene analizzato alla luce della rete delle sue relazioni familiari e l’individuo stesso è considerato come parte di un tutto.
Tale approccio ebbe origine a partire dall’incontro tra teoria cibernetica (Wiener, 1948) e teoria dei sistemi (Van Bertanlaffy, 1968), ma anche a partire dall’esigenza da parte degli psicologi di introdurre elementi del reale nella terapia, soprattutto nel trattamento dei bambini, andando oltre l’ortodossia della psicoanalisi.
Gli studi condotti dall’antropologo Gregory Bateson misero in luce concetti fondamentali della teoria dei sistemi, applicabili alla famiglia:

  • non sommatività: le proprietà di un sistema sono diverse dalla somma di quelle delle parti di cui è costituito, nello stesso modo la famiglia costruisce delle proprie norme e valori a partire da quelle dei suoi membri ma da esse differenti perché nell’entrare in relazione tra loro esse si modificano.
  • causalità circolare: le azioni in un sistema si influenzano reciprocamente; ogni azione è a sua volta causa ed effetto delle altre. La stessa cosa può dirsi degli eventi che accadono all’interno di una famiglia.
  • equifinalità: la condizione da cui parte un sistema non determina in modo predefinito il suo stato finale. A partire da due circostanze iniziali paragonabili, due famiglie possono progredire in maniera molto differente, così come esistono famiglie con dinamiche simili ma che hanno avuto delle condizioni di partenza molto diverse tra loro.
  • omeostasi: ogni sistema tende a un equilibrio e a una stabilità, allo stesso modo ogni famiglia tende a garantirsi una continuità e una coerenza nel tempo.
  • morfogenesi: è la capacità che ha un sistema di produrre cambiamenti organizzativi stabili e profondi. Anche una famiglia è in grado di trasformarsi nei suoi momenti di crisi, quando passa da una fase evolutiva all’altra (per esempio alla nascita di un nuovo figlio o quando questi escono di casa): tutto il sistema si riorganizza, si modificano alcune regole di base per andare incontro al cambiamento e costruire un nuovo equilibrio diverso da quello iniziale.

Analizzando l’individuo alla luce di questa prospettiva, il disagio che egli porta in terapia o manifesta nella sua vita personale assume un significato “relazionale” oltre che “soggettivo”, nel senso che il conflitto psichico che il disturbo esprime è inscritto all’interno di un contesto sociale che contribuisce al suo manifestarsi. Nella terapia sistemico -relazionale la persona portatrice del sintomo viene definita “paziente designato”: è il membro della famiglia che comunica attraverso di se una disfunzione che riguarda l’intero sistema, ma che date le caratteristiche e le dinamiche proprie di quell’individuo, trova in lui il canale privilegiato di espressione.
La disfunzione del sistema famiglia spesso origina da un insufficiente capacità della famiglia stessa di raccogliere le proprie risorse per riorganizzare le sue regole di base di fronte a un cambiamento (dovuto a qualche evento esterno o interno).
La tendenza di ogni sistema è quella di mantenere una propria stabilità: dinanzi a situazioni che turbano gli equilibri che la famiglia ha costruito nel tempo, essa può reagire irrigidendosi sui propri meccanismi di funzionamento (e quindi opponendosi al cambiamento), oppure adattandosi alle nuove condizioni poste in essere dalla situazione. Sistemi rigidi e chiusi non sono in grado di evolvere e, in genere, determinano una sofferenza nei propri membri proprio perché si oppongono al naturale mutare delle cose.
L’interesse per lo studio delle modalità attraverso le quali ogni famiglia si comporta in relazione a un problema si afferma negli anni ’60 con la “family stress and coping theory”: secondo questa teoria le famiglie si distinguono tra loro per la diversa capacità che hanno di fronteggiare gli eventi stressogeni, cioè tutto quello che dall’esterno interrompe il corso naturale degli eventi.
Secondo un diverso approccio , la teoria dello sviluppo, le fasi di cambiamento ed evoluzione che ogni famiglia deve affrontare non rappresentano eventi stressogeni ma sono prevedibili, per cui non traumatici, perché fanno parte della naturale storia di ogni famiglia, composta da stadi precisi e definiti.
Dati questi presupposti la terapia sistemico-relazionale, nel lavoro con l’individuo e con le famiglie indaga sempre quattro aspetti fondamentali che permettono di giungere alla corretta comprensione del nucleo problematico:

  • la storia trigenerazionale della famiglia ( l’indagine si espande attraverso tre generazioni -nonni, genitori, figli;
  • il funzionamento attuale della famiglia (regole di base, organizzazione, ruoli e gerarchie);
  • il sintomo del paziente designato e il ruolo che ha nel mantenere l’equilibrio del sistema;
  • lo stadio evolutivo in cui la famiglia si trova.