“Leggere” nella mente come in un libro

Pur avendo un substrato genetico, la capacità di comprendere comportamenti, intenzioni e desideri degli altri è una vera e propria abilità che ha bisogno di essere appresa attraverso un processo mediato dalla cultura. Recenti ricerche hanno scoperto una straordinaria somiglianza fra questo tipo di “lettura” della mente e la lettura di un testo scritto: entrambe si sono sviluppate grazie all’adattamento di strutture cerebrali che si erano evolute per altri scopi. La nostra abilità nel predire e spiegare i comportamenti, le intenzioni, i desideri degli altri ha un nucleo geneticamente determinato, ma si sviluppa appieno solo attraverso un lento processo di istruzione, mediato e trasmesso dalla cultura, che somiglia in modo impressionante all’acquisizione della capacità di leggere. Una buona “lettura” della mente altrui va quindi appresa e in questo processo è centrale il ruolo di quanti sono preposti a insegnarla, ossia del contesto culturale.
A sostenerlo sono Cecilia M. Heyes dell’Università di Oxford e Chris D. Frith dell’University College di Londra, che in un articolo pubblicato su “Science” passano in rassegna gli studi sullo sviluppo nell’uomo di una “teoria della mente” o – come preferiscono dire Hayes e Frith – di una “lettura della mente” altrui, un tema su cui si sono concentrati tanti sforzi della ricerca scientifica degli ultimi 35 anni.
Diversi studi hanno indicato che anche i bambini piccoli hanno una capacità di lettura della mente. Nei test non verbali sui bambini di pochi mesi, i movimenti degli occhi sono considerati una prova che, osservando le azioni di una persona, i bambini si aspettano, per esempio, che questa raggiunga una posizione in cui crede che sia nascosto un oggetto desiderabile. Questi dati farebbero pensare che la capacità di leggere la mente degli altri sia qualcosa di innato, geneticamente fissato.
Tuttavia, osservano gli autori, esistono fortissime analogie fra la lettura di uno scritto e questa sorta di “lettura” della mente altrui. Per esempio, entrambe prevedono la derivazione del significato da segni: nel primo caso, segni sulla carta il cui significato si riferisce a oggetti ed eventi del mondo; nel secondo caso, i segni sono espressioni facciali, movimenti del corpo e posture, e il loro significato si riferisce agli stati mentali di chi agisce. Inoltre, entrambe le capacità dipendono da meccanismi cerebrali dedicati, e sono soggette a specifici disturbi dello sviluppo (dislessia/autismo).
Secondo Heyes e Frith, è necessario distinguere fra una capacità di lettura “implicita” della mente, che permette in modo automatico l’attribuzione di intenzioni a un agente osservato, e una lettura “esplicita”, quella che ci permette di deliberare sugli stati mentali e di esprimere a parole i nostri pensieri su di essi.
Queste due modalità di lettura non sarebbero controllate dagli stessi meccanismi cerebrali: nella seconda entrerebbero in gioco aree specializzate che si sviluppano e plasmano secondo un modello estremamente simile a quello dell’acquisizione dell’abilità della lettura. Proprio come la lettura di uno scritto, la modalità esplicita sfrutterebbe, adattandole, capacità originariamente evolutesi per altri scopi.
A sostegno di questa interpretazione si possono portare alcuni dati. In primo luogo, persone affette da autismo possono riuscire a padroneggiare la capacità di lettura esplicita della mente, pur continuando a essere incapaci di lettura implicita, un fenomeno difficilmente spiegabile se vi fosse una perfetta continuità fra i meccanismi che presiedono ai due processi.
Un’ulteriore prova di questo dissociazione viene da test che mostrano come nell’eseguire compiti in cui sono richiesti giudizi verbali su pensieri e sentimenti (lettura esplicita) di altre persone, la precisione e la velocità della valutazione è compromessa dalla concomitante attivazione di una serie di funzioni esecutive (memoria di lavoro, controllo cognitivo e dell’attenzione, inibizione), funzioni che non sono invece mobilitate in compiti in cui è richiesta solo una lettura implicita della mente.
L’esistenza di questa componente “regolativa” o normativa nella lettura della mente – che rappresenta un’ulteriore punto di contatto con la lettura di un testo: la capacità di lettura prevede una componente prescrittiva che si esplicita nella scrittura – è confermata anche da recenti ricerche in psicologia sociale e neuroscienze cognitive. Queste hanno mostrato, per esempio, che quando gli adulti sono scoraggiati dal credere nel libero arbitrio, dicendo che a controllare il comportamento sono processi neurologici deterministici invece che stati mentali, vi è un indebolimento dei segnali neurali associati alla pianificazione delle azioni e un comportamento tendenzialmente più aggressivo.
La ricerca sulla lettura della mente, concludono gli autori, finora ne ha sottolineato il ruolo interpretativo (spiegare e prevedere il comportamento) a scapito di quello normativo. Tuttavia, “l’alfabetizzazione mentale” ha anche un ruolo regolativo di primaria importanza. “Il lettore della mente ‘novizio’ – scrivono – non impara solo che un comportamento può essere prodotto da interazioni razionali tra credenze e desideri, ma anche quali dovrebbero essere, ed è incoraggiato a fare proprio un comportamento che obbedisca a queste convenzioni.”

Fonte: Le scienze