Esistono diversi strumenti di rilevazione del burnout e quasi tutti quelli che sono reperibili in letteratura misurano gli effetti di questa sindrome sugli operatori mentre non esistono test che analizzano anche le cause, per cui ci si avvale spesso in sede diagnostica e di ricerca di più strumenti contemporaneamente.
Lo strumento più popolare è più utilizzato è il Maslach Burnout Inventory (Maslach & Jackson, 1981).
Maslach e Jackson nel 1980 ,insieme a Freudenberger (1974, 1975) ,affermano che il burnout può portare ad un deterioramento della qualità delle cure o del servizio che viene fornito dal personale e può essere correlato con disagio personale, stanchezza fisica, insonnia, aumento dell’ uso di alcol e droga e problemi coniugali e familiari. Questa ricerca iniziale è di tipo esplorativo e le informazioni sono state ottenute mediante interviste, questionari, indagini ed osservazioni ed è emerso che vari fattori stressogeni nell’ambiente di lavoro, quali il carico di lavoro e l’ambiguità di ruolo, sono legate con il burnout. Successivamente le autrici hanno provveduto alla messa a punto di uno strumento per valutare questa sindrome e che contiene tre sottoscale che vanno ad indagare i vari aspetti del burnout. Tale strumento prende il nome di Maslach Burnout Inventory (MBI) e gli item sono stati formulati per misurare i vari aspetti della sindrome. Durante la prima ricerca di carattere esplorativo si sono raccolti dei dati che sono stati una fonte di idee molto preziose circa gli atteggiamenti e i sentimenti che caratterizzano un lavoratore “bruciato”. Si tratta di uno strumento composto da 25 item ed ognuno di essi viene valutato su due dimensioni: frequenza e intensità con cui la situazione viene vissuta nel lavoro. Le risposte vengono date su una scala Likert da 0 (mai) a 6 (ogni giorno) e per l’intensità 0 (non viene avvertito) a 7 (massima intensità).
Per entrambe le dimensioni sono state individuate tre sottoscale:
– esaurimento emotivo, composta da 9 item che descrivono sentimenti di sovraesposizione e il sentirsi emotivamente esausti a causa del lavoro. L’item più significativo di tale sottoscala(0,84 sulla frequenza e sulla intensità 0,81) è il numero uno, “Mi sento emotivamente prosciugato dal mio lavoro”;
– depersonalizzazione: tale sottoscala è composta da 5 item che descrivono una sensazione di insensibilità verso i destinatari delle cure e del servizio. Per entrambe le scale, punteggi medi elevati corrispondono ad un più alto livello di burnout e tra di esse c’è una correlazione moderata (0,44 per la frequenza e 0.50 per intensità) a dimostrazione del fatto che si tratta di costrutti separati ma correlati tra di loro;
– realizzazione personale contiene 8 articoli che descrivono la competenza, il portare avanti con successo il lavoro con gli utenti/clienti e il sentirsi soddisfatti e realizzati dal punto di vista personale. A differenza delle altre due sottoscale, più i punteggi medi sono bassi, più il livello di burnout è elevato ed inoltre è indipendente dalle altre due sottoscale. Non può però essere considerata l’opposto delle sottoscale esaurimento emotivo e/o depersonalizzazione infatti le correlazioni tra la sottoscala realizzazione personale e le altre due sono piuttosto basse (-0,17 frequenza e -0,05 intensità, per l’esaurimento emotivo e -0,28 frequenza e -0,22 intensità, per la depersonalizzazione).
Questo strumento è stato costruito sulla base della necessità di valutare il burnout in un’ampia gamma di lavoratori dei servizi socio-sanitari e non solo. Permette di avere informazioni sulle variabili personali, sociali e istituzionale che possono incentivare o ridurre il rischio di burnout che poi potranno essere utilizzate per progettare interventi di prevenzione e cura.
Le qualita psicometriche del questionario sono molto discusse: l’attendibilità calcolata con il metodo del “retest” ha avuto riscontri soddisfacenti, con coefficienti oscillanti tra .70 e .87 mentre la valutazione dell’omogeneità interna effettuata con l’alpha di Cronbach oscillano tra valori di .58 e .90. La struttura fattoriale è stata più volte confermata sia da correlazioni con misure di insoddisfazione lavorativa e di vari comportamenti più o meno adattivi, sia utilizzando osservatori esterni indipendenti (Rafferty,1986). Inoltre, il questionario ha ottenuto conferme interessanti anche in ricerche cross/culturali (Etzion & Pines, 1986).
Sono però state mosse anche varie critiche nei confronti di questo strumento. Alcuni autori (Firth & coll.) parlano di costrutti poco omogenei e ammettono che la scala di depersonalizzazione, che è anche quella più debole) vada adeguata alle varie situazioni. Ma altre ricerche mettono in dubbio che la depersonalizzazione sia un valido indicatore di burnout, soprattutto quando considerato come un costrutto monodimensionale e senza correlarlo a particolari strutture di personalità che sembrano influenzarlo pesantemente (Garden,1987).
In Italia, Guido Contessa è stato tra i primi ad interessarsi di burnout, interpretando questo fenomeno come una miscela di difese psicodinamiche e caratteristiche socio-organizzative: usando un questionario molto esteso e indagando vari aspetti del lavoro dell’operatore socio-sanitario, come variabili organizzative, ruoli, motivazioni, disturbi psicosomatici, è stata condotta una ricerca su 110 operatori socio-sanitari ed è stato elaborato quello che poi venne definito il “termometro per il burnout” (Sardella& Drudi, 1987). Si tratta di una serie di affermazioni dalle quali i dati vengono trasformati in gradi di disagio, con un significato analogo a quello della misura della temperatura corporea. Il soggetto deve segnare quale tra le situazioni indicate dal test prova (sintomi, atteggiamenti etc..) e per ottenere la versione finale della scala i dati sono elaborati mediante tecniche multivariate ottenendo in tal modo tre fasce di punteggi:
– fino a 37°: in questa gamma rientra la popolazione sana;
– da 37,1 a 38°: rientrano i soggetti a rischio di burnout;
– oltre i 38°: da questo valore sono previste tre fasi progressive di disagio (1° stadio, fase acuta e fase terminale) e per ogni fase vengono individuati dei profili tipici degli stati motivazionali vissuti dagli operatori.
Questo strumento si può prestare ottimamente come supporto didattico in training e meeting centrati sullo stress lavorativo.
Sigaretti e coll., dell’Università di Siena, partendo dal M.B.I. hanno costruito una scala di 29 item che all’analisi fattoriale dà luogo alle tre dimensioni suggerite dalla Maslach. Tale scala è standardizzata su un campione di 235 operatori di asili nido e la formulazione degli item è stata mirata in funzione del tipo di soggetti intervistati e soprattutto con l’obiettivo di migliorare la dimensione della depersonalizzazione. Lo strumento sembra essere ideale sia per agilità di applicazione che per validità di costrutto, ed anche i coefficienti di attendibilità risultano buoni.
Nel 1983 Ford, Murphy & Edwards presentarono su “Psychological Reports” la scala Job Burnout con lo scopo di fornire uno strumento applicabile anche in professioni diverse dai servizi sanitari e sociali. Nel loro lavoro confrontano diverse realtà lavorative alla luce di un unico questionario. Questa operazione, e l’elaborazione dei dati che ne è conseguita, ha dato luogo a due diverse configurazioni strutturali dello strumento. Pur essendo composto di 15 item, le analisi fattoriali eseguite sui risultati ottenuti da due diversi campioni (237 operatori socio-sanitari e 150 tecnici, manager, venditori) hanno dato luogo alla seguente configurazione:
- Campione A: 230 soggetti e 5 dimensioni: sentimenti di sconfitta e frustrazione verso il lavoro, sentimenti verso/ da i colleghi, controllo sui risultati del lavoro, affaticamento, inadeguatezza dell’organizzazione lavorativa;
- Campione B: 150 soggetti e 2 dimensioni: esaurimento emozionale e inadeguatezza delle condizioni lavorative.
Si tratta di una sindrome molto particolare e difficile da trattare, per questo bisogna puntare sulla prevenzione, sulla messa a punto di tecniche o corsi specifici in grado di preparare l’operatore al contatto con la sofferenza e con il dolore e soprattutto incoraggiare il dialogo con l’intera equipe di lavoro. Solo così l’operatore potrà “proteggersi” dal burnout, solo esprimendo ed elaborando le proprie sensazioni quotidianamente sarà in grado di affrontare tutti i giorni al meglio un lavoro così emotivamente pregnante ma che se ben gestito può anche portare ad una grande soddisfazione personale.